Rilassamento, meditazione e yoga del suono
“Il suono è un’onda portatrice di coscienza” - Steven Halpern
Il potere del suono e i suoi effetti sulle emozioni e sui piani mentali sono fenomeni conosciuti e praticati da tutte le antiche civiltà. La cultura indiana è quella che ha conservato i tesori della scienza del suono. L’impianto teorico musicale, codificato da secoli, riguarda l’uso di suoni, melodie, ritmi, collegati a stagioni, orari, stati fisici e psichici e a tutte le circostanze della vita dell’uomo e della natura, dove la pratica musicale è saldamente fissata su questo sistema.
Nada yoga o yoga del suono
Tutto in natura vibra ad una precisa frequenza, anche il corpo fisico e pranico. Il nada yoga è la conoscenza e l’utilizzo della vibrazione del suono. “Na” può essere tradotto come Prana (energia vitale), “Da” si rifà ad Agni (Dio vedico del fuoco) e può essere inteso come il calore che sostiene la vita. Come sostiene Sri Vemu Mukunda, uno dei Maestri contemporanei di Nada Yoga:
Quando prana e calore si uniscono, si produce il suono. Infatti quando vogliamo tradurre un pensiero in parole, si alza leggermente la temperatura corporea
La musica in India è stata per lungo tempo usata per lo sviluppo della mente e del corpo. Nella visione yogica, gli effetti del suono, quando vengono percepiti e riconosciuti nella loro essenza profonda, producono mutamenti globali a livello fisico, psichico, emotivo, mentale e nella stessa coscienza, essi infatti influenzano e modificano lo stato del corpo pranico. La pratica di Nada yoga tende ad equilibrare iperattività e ipoattività di questo piano, ed, anche se in maniera meno diretta e percepibile, la condizione degli altri piani di coscienza (kosha). Attraverso la pratica di nada yoga è possibile avere esperienze degli influssi benefici su alcune parti del corpo, sullo stato emotivo, sulla qualità della mente e del pensiero.
Teoria del suono
Il suono ha sempre svolto il ruolo di mediatore tra gli esseri umani, tra l’uomo e il divino, come avviene nella musica rituale di ogni tradizione. Nella cultura indiana questi legami sono particolarmente marcati, giustificati dalla particolare visione della realtà nella filosofia indiana: dietro ogni manifestazione vi è uno stato causale, una continuità indivisa da cui si sviluppa l’apparenza della realtà. Tale stato causale contiene il suono nel suo potenziale, sotto forma di vibrazione. Questa vibrazione, non percettibile (anāhata) dai sensi fisici, è considerata il principio di ogni manifestazione, la base di ogni sostanza. Secondo la tradizione indiana, evocare il suono, non dipende dall’azione materiale di una vibrazione fisica, ma dalla realtà di connessioni sottili tra i differenti ordini di vibrazione che compongono la natura delle cose. Di conseguenza, anche il percorso musicale, nei suoi strati più profondi, è un percorso spirituale che si integra con i percorsi dello yoga. L’unità tra suono e significato, costituisce il punto di contatto che permette il passaggio da una realtà all’altra o, almeno, evoca la realtà sottostante a quella manifestata.
Raga e musica indiana
Raga, dal termine sanscrito "ranj”, significa "colorare" o "deliziare”. È definito, nelle parole di Joep Bor, come "una struttura tonale per la composizione e l'improvvisazione nella musica classica indiana”, o, in versione più poetica, da Matanga come “Una sorta di composizione sonora adornata di note musicali in alcuni valori, stazionari, ascendenti, o mobili, che hanno l’effetto di colorare il cuore degli uomini”. Oltre a specifiche qualità tonali e musicali, i raga sono stati a lungo associati anche a caratteristiche come il tempo, la stagione, gli attributi estetici e altri contesti. I trattati musicali affermano che l'atmosfera, o rasa, del raga dipende dalla nota dominante del raga. Narada, scrive che "Chi canta conoscendo il momento giusto rimane felice”. “Bhava” è l’emozione trasmessa ed è considerata l’essenza della musica, che infonde vita alla scala su cui è praticata.
Programma
Ci introdurremo a questa pratica attraverso una preparazione iniziale (yoga nidra, rilassamento, pranayama ed altre pratiche yogiche), seguita da pratiche legate allo yoga del suono-nada yoga:
- meditazione e rilassamento con il nada yoga
- ascolto della musica del sitar, dal vivo
- suono, chakra e visualizzazioni
- brahmari pranayama
- āhata (suono percosso) e anāhata (non percosso)
Le condizioni predisposte per l’ascolto dei suoni esistenti mirano ad ampliare la coscienza del paesaggio sonoro, sia interno sia esterno. Durante il percorso emerge naturalmente una forma di musica. La sua bellezza non risiede nell’intento, ma nella sua essenza: l’efficacia terapeutica che essa possiede. Questo potere è percepito dal gruppo, la musica entra in relazione con chi l’ha prodotta attraverso la partecipazione e la condivisione, creando una relazione reciproca in cui il gesto sonoro diventa uno spazio di ascolto, cura e appartenenza.
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Programma avanzato: voce e suono
L’utilizzo della voce - anche attraverso la ripetizione di note, scale o intervalli musicali - e la ripetizione vocale o mentale di semplici mantra, è una pratica unica in cui concentrazione, meditazione e respirazione avvengono inconsciamente e simultaneamente. Quando un suono viene ripetuto mentalmente con consapevolezza, il pensiero assume la forma di quel suono, e l’energia attivata da esso diviene manifesta nella mente. L’uso del suono è anche un utile promemoria per ricordare e riattivare “conoscenze sopite”, ogni passo in questa direzione aumenta la capacità di concentrazione e di comprensione interiore. Oltre ad indurre una profonda quiete mentale, i benefici possibili, sono quelli di acquisire un migliore rapporto con la propria voce, parte sottovalutata, ma fondamentale della nostra essenza, così come il poter comunicare maggiormente ciò che siamo veramente.
- Scale musicali, vocalizzi e mantra
- Armonici e ascolto
- Voce e suono: ripetizione e ascolto di suoni, note, scale e intervalli musicali
- Uso consapevole della voce e risonanza vibratoria (vedi le moderne ricerche del sistema del dott. Tomatis)
Ogni incontro tende a:
- generare effettivamente suoni
- immaginare attivamente suoni
- ascoltare i suoni presenti intorno a noi
- richiamare alla memoria dei suoni
Lo yoga del suono
A cura di Giulia Coschiera
La conoscenza del suono può donare a una persona uno strumento musicale magico per mezzo del quale dirigere e intonare e controllare a fin di bene e aiutare la vita di un’altra persona. I cantanti dell’antichità notavano gli effetti delle loro pratiche spirituali prima di tutto su sé stessi. Intonavano una nota per mezz’ora circa, e studiavano l’effetto di quell’unica nota sui diversi centri all’interno del corpo: quale corrente vitale produceva, se apriva determinate facoltà uditive, se creava entusiasmo, se aggiungeva energia, se aveva un potere consolante o curativo. Per quei cantanti non si trattava di teoria, era un’esperienza.
Hazrat Inayat Khan, Il misticismo del suono
La teoria del suono
Il suono ha sempre svolto il ruolo di mediatore tra gli esseri umani, tra l’uomo e il divino, come avviene nella musica rituale di ogni tradizione; in India, i legami tra l’individuo, il suono e l’Assoluto sono particolarmente marcati, giustificati dalla particolare visione della realtà nella filosofia indiana: dietro ogni realtà manifestata esiste uno stato causale, una continuità indivisa da cui si sviluppa l’apparenza della realtà. Tale stato causale contiene il suono nel suo potenziale, sotto forma di vibrazione dell’etere. Questa vibrazione, non percettibile (anāhata) dai sensi fisici, è considerata il principio di ogni manifestazione, la base di ogni sostanza. Il suono, concepito come stato vibratorio, funge da impulso originario della realizzazione dell’Assoluto.1
Per mezzo dell’omologia tra microcosmo e macrocosmo, stabilita dalla filosofia indiana, i due livelli duplici - Assoluto e uomo; cielo e terra - si equivalgono, e ogni azione su un piano ha una corrispondenza sul piano affine. La differenza consiste solo nel grado: l’uomo, con suoni e parole, può evocare entità o cose; l’Assoluto, con il proprio linguaggio, può rendere concreto l’universo. Tuttavia, il processo di manifestazione, indipendentemente dal livello, è fondato sul suono; si realizza tramite il Suono, il Verbo, la Parola. Considerando i duplici piani: Assoluto-uomo e macrocosmo-microcosmo, si identificano i due generi di suono: la vibrazione dell’etere e quella dell’aria. La percussione dell’etere non è dovuta a nessuna percussione fisica ed è perciò chiamata anāhata (non percossa). L’altro tipo di suono è costituito da una vibrazione temporanea dell’aria; è percepibile dai sensi fisici ed è prodotto da percussione, āhata (suono percosso).2
Secondo la tradizione indiana, evocare il suono non dipende dall’azione materiale di una vibrazione fisica, ma dalla realtà di connessioni sottili tra i differenti ordini di vibrazione che compongono la natura delle cose. Di conseguenza, anche il percorso musicale, ai suoi strati più profondi, è un percorso spirituale che si integra con i percorsi dello yoga. Da qui il termine vimukti per la musica in India, intesa come liberazione.
Ogni suono veicola un contenuto psicologico intrinseco; ogni intervallo musicale esprime un significato inscindibile da esso. Per questo le formule esoteriche e le formule cantate (mantra) sono considerate la chiave dei riti religiosi di ogni tradizione e vengono impiegate in tutte le pratiche magiche. Per garantire l’efficacia dei mantra è necessario seguire regole precise riguardo alla pronuncia, all’emissione, al respiro e alla scelta dei momenti e degli orari nel corso della giornata. Queste modalità sono state tramandate e influenzano anche l’esecuzione attuale dei rāga nella musica classica. L’unità tra suono e significato costituisce il punto di contatto tra i due livelli della clessidra; permette il passaggio da una realtà all’altra o, almeno, evoca la realtà sottostante a quella manifestata.
I thāṭh, i rāga e i rasa
La serie di note che compone un rāga determina la sua collocazione in un particolare thāṭh, in numero di dieci sono stati schematizzati dal musicologo Pandit Bhatkhande (1860-1936) e considerati come “modi-base” da cui si ricavano la maggior parte dei rāga della musica hindustana. Da un thāṭh derivano quindi molteplici rāga; la loro differenziazione risiede negli elementi che li compongono, quali l’accentuazione di alcune note, l’uso differenziato di certi glissandi e la ripetizione di determinati schemi musicali. L’identità di un rāga non si basa solo sulle note scale, ma sulla giusta proporzione tra tutte queste componenti. Gli esperti tentarono di dare alcune definizioni al rāga, fra le più pregnanti troviamo quella di Matanga nel suo Bṛhaddeśī:
Un rāga è quel tipo di composizione sonora che è ornata con note musicali delle quali alcune ferme, altre ascendenti, altre discendenti, di vari valori, che ha l’effetto di colorire il cuore degli uomini.
In questa definizione, e in quelle che seguiranno, il termine rāga indica sempre l’atto di colorare, dipingere o tingere, richiamando la radice sanscrita rañj da cui deriva. Il colore, correlato alla percezione visiva, è l’emblema dell’estetica e della bellezza. La bellezza e la vitalità di ogni melodia rāga si esprimono come un effetto cumulativo di stati d’animo (bhava) e contenuti psicologici (rasa) inerenti, conferendo ai rāga una natura femminile o maschile, passiva o attiva, solare o lunare. Inoltre, il rāga è stato definito come ciò che offre piacere, sottolineando così che la sorgente del sentimento estetico (rasa) è anche la sorgente della gioia offerta dal rāga: fu così stabilito e sperimentato il connubio tra rāga e rasa.
Poiché gli stati d’animo legati al ciclo della vita coincidono con il ritmo del giorno e della notte, con il ciclo delle stagioni e con i fenomeni cosmici, anche i rāga creati per evocare tali stati sono associati ai vari momenti della giornata o al ritmo alternante delle stagioni. Così esistono rāga dell’alba, del tramonto, della mezzanotte, oppure rāga della primavera, dell’autunno, della stagione delle piogge, ecc. 3
Il principio che regola la fisiologia umana e l’andamento degli umori e della sfera psichica dell’uomo è analogo a quello che governa l’alternarsi dei fenomeni naturali. Il rāga, tramite il suo contenuto semantico (rasa), richiama queste corrisponze sottili tra l’uomo e l’ambiente circostante.
La teoria estetica del rasa crea un’unità di fondo che sostiene tutte le arti dell’India; i suoi principi si rendono evidenti nelle norme di proporzione dell’architettura, nella definizione precisa del tāla (misura) e bhaṅga (posizione scenica nelle sculture indiane), nonché nell’organizzazione del colore e della prospettiva nella pittura; nella combinazione dei movimenti della danza; e nell’uso delle śruti (intervalli microtonali) e degli svara (note) in certe combinazioni per creare un particolare stato d’animo, nella musica indiana. Lo svara è suono più rasa, il rasa è l’elemento che conferisce al suono il suo potere evocativo.3
1 Annysha Sacchini, Il sitar e la musica indiana, Sugarco Edizioni, Milano 1987, p.33.
2 Ibid, p.34.
3 Ibid. pp. 46-51.